Uno degli aspetti più
importanti per la sana e corretta gestione aziendale è l’analisi della
liquidità. Considerare la tempistica del ritorno degli investimenti e osservare
periodicamente il margine di contribuzione
affinché i nostri segnali d’allarme, nella gestione caratteristica e
finanziaria aziendale siano sempre ponderati.
Il rapporto di credito con
la banca nel caso di Riba, è di fondamentale importanza, in quanto ci si
focalizza sulla durata media ponderata dell’anticipo riba da parte della banca,
con il quale si finanzia o meglio si deve finanziare, la spesa corrente e non gli investimenti. Quanto il conto
corrente và in sofferenza, dovrà essere introdotta liquidità procedendo con :
-
Un addebito in conto anticipo riba;
-
Accredito in cc ordinario;
Quanto più il cc ordinario
necessita di liquidità, tanto più le ri.ba. sono sollecitate ad essere
anticipate, per la fornitura al cc ordinario di liquidità.
Uno dei strumenti di
analisi economica/finanziaria è il margine
di contribuzione, perché ci permette di disaggregare la costruzione del risultato
di esercizio in più aree, permettendoci di individuare quali costi fanno calare
o aumentare la redditività.
Il
Margine di contribuzione =( Valore della Produzione – Costi Variabili), è
un indice pragmatico in quanto nel momento in cui tale indicatore tende ad
abbassarsi e i costi fissi salgono, si assisterà matematicamente ad un
peggioramento della redditività aziendale. Nel momento in cui tale indicatore
si abbassa meno di quanto i costi fissi è matematico che la redditività
dell’azienda va meglio.
Per le aziende dotate di
controllo di gestione, per avere un indice veritiero, è importante scomporre
il margine di contribuzione nei margini di contribuzione dei singoli prodotti
che l’hanno generato.
Il margine di contribuzione
può essere letto secondo ciò che si è prodotto e ciò che si è venduto. Ciò
perché il bene in magazzino non mantiene il suo valore sino al giorno della
vendita.
Il margine di contribuzione è importante per
avere una direzione in merito ai prezzi, alle politiche di quantità, alle
politiche di riduzione dei costi variabili, prodotti che vale la pena spingere
commercialmente, prodotti da eliminare.
Inoltre con un attento esame di tale margine, è possibile individuare i
prodotti che contribuiscono a generare margine di contribuzione, i prodotti che
generano meno margine di contribuzione, i prodotti che erodono margine di
contribuzione, i prodotti che bisogna eliminare perché in futuro elimineranno
il tale margine.
L’obiettivo per avere
un’azienda che può essere considerata sana è la capacità dell’azienda di
generare un valore della produzione che
permette di coprire i costi fissi. Questo punto d’incontro in contabilità
analitica è definito Break even point.
Il B.P. è uno strumento sia di previsione che di controllo.
È
uno strumento di previsione perché con esso si determina il volume di
vendita risultato di pareggio tra i costi totali e i ricavi totali che
bisogna rag-giungere per ottenere un (R = C, cioè il BEP), per cui,
superato tale livello di produzione, l'impresa inizierà ad avere un utile (R
> C).
È uno strumento di controllo perché
consente:
·
di
verificare durante l'attività produttiva e per ogni livello di produzione
l'utile o la perdita;
·
di
intervenire se le previsioni non si sono verificate.
In
ogni attività, come in quella della ristorazione in genere, vi sono vari tipi
di costi:
1. costi fissi: sono quei costi che non variano al variare delle quantità
prodotte. Si pensi al canone di locazione (affitto), agli stipendi dei
dipendenti, ai canoni del leasing e così via.
2. costi variabili: sono quei costi che si modificano, in modo più o
meno proporzionale, al variare delle quantità prodotte.
Considerando
un modello matematico, il punto di pareggio può essere determinato impostando
una semplice equazione:
Q
x P = ( Q x CvF
) + C dove
Q
: quantità prodotta
di pareggio
P
: prezzo unitario
del prodotto
Cv : costo variabile unitario
CF : costi fissi
Si
raggiunge il punto di pareggio quando i ricavi
di vendita(dati dalla moltiplicazione del prezzo del prodotto per le
quantità) eguaglieranno i costi
totali (ottenuti dalla somma dei costi variabili unitari per le quantità e
dei costi fissi). Possiamo fare un esempio pratico per comprendere meglio.
Ipotizzo,
per semplicità, che nel mio caseificio vendo un solo prodotto, cioè la
mozzarella di bufala. Mi chiedo allora: quante mozzarelle devo fare al giorno
(o al mese...) per coprire tutti i costi?
Con
qualche passaggio algebrico posso trovare che la quantità da produrre, cioè le mozzarelle
che devo vendere per andare a pareggio, è:
cioè
il rapporto tra i costi fissi
e la differenza tra prezzo e
costo variabile unitario.
Tale
differenza (P - Cv) è detta MARGINE
DI CONTRIBUZIONE. FVCQPC come detto sopra.
Se
il prezzo della mozzarella di bufala è P = 4 €, il suo costo variabile unitario
è Cv = 1.12 € (cioè i costi delle materie prime latte, caglio, ecc) e i costi
fissi sono di 800 € al giorno, per "pareggiare" dovrò produrre:
C.F./(P-Cv)=
800/(4-2.88), cioè 277 mozzarelle.
Se
non riuscirò a raggiungere tale obiettivo di vendita, mi troverò in una
situazione di perdita, ma se invece riuscirò a vendere un numero di mozzarelle
maggiore a 100 andrò in una situazione di profitto.
Dal punto di vista
grafico:
A
sinistra del BEP abbiamo l'area delle perdite, perché la retta del costo totale
è al di sopra della retta dei ricavi; a destra abbiamo l'area dei profitti,
perché la retta dei ricavi è al di sopra della retta del costo totale. Il punto
di equilibrio è così detto perché, in esso, ricavo e costo totale si eguagliano
e, di conseguenza, il profitto è zero.
Per
calcolare il punto di equilibrio si applichiamo la for-mula precedente:
, dove
Q=CF/(P-Cv)
Q
= volume delle vendite di equilibrio, cioè il BEP
CF =
costi fissi
P
= prezzo
CV =
costo variabile unitario
Nella realtà operativa
delle imprese, i costi hanno spesso un andamento cosiddetto semivariabile: esse
presentano infatti una componente fissa, che viene cioè sostenuta anche in
assenza di produzione, e una componente variabile, proporzionale o quasi
proporzionale alla quantità prodotta. Per esempio l’energia elettrica: ci sono
dei costi fissi corrispondenti al canone e poi dei costi variabili
proporzionali alla quantità di energia effettivamente consumata.
Un’altra precisazione è la seguente: la distinzione tra costi
variabili e costi fissi è valida solo entro certi limiti di variazione del
volume produttivo, superati i quali si osserva che anche i costi normalmente
definiti “fissi” risultano in realtà variabili. Un esempio è quando acquistiamo nuovi impianti e
si assumono nuovi impiegati: i volumi prodotti sicuramente aumenteranno ed
insieme a loro i corrispondenti costi variabili, ma aumentando anche i costi
fissi , perché ci sono da pagare gli stipendi o da ammortizzare più macchinari.
Supponendo che siano noti
sia i costi generali che i ricavi generali:
-
L’impresa può determinare il suo BEP,
corrispondente al livello di produzione e vendita in cui i costi eguagliano i
ricavi;
-
Per un dato volume x di produzione e
vendita, l’impresa può calcolare i relativi utili (x>BPE) o le relative
perdite (x<BPE);
-
Si può determinare l’effetto sull’utile di
variazioni di prezzi di vendita , dei costi variabili e dei costi fissi;
-
infine, l’impresa può valutare la
redditività dei propri prodotti
considerandoli sia in termini unitari che complessivi (tramite il margine di
contribuzione);
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