Per i lavoratori legati da vincoli di coniugio, parentela o affinità con soci amministratori ovvero soci di maggioranza di società di capitali, in via generale il rapporto di lavoro può essere convalidato in quanto il rapporto stesso intercorre con le società e non con i singoli soci.
E’ peraltro necessario verificare il concreto assetto della società al fine di accertare se nel caso di specie sussistano le condizioni per il riconoscimento di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato (ad esempio se vi siano due soli soci, entrambi parenti conviventi o se il parente convivente del lavoratore sia titolare di tutti i poteri sociali o abbia la maggioranza delle azioni o delle quote sociali, il rapporto, ancorché intercorso con la società, non e’ convalidabile).
Come detto sopra ,gli indirizzi amministrativi dell’Inps circa i rapporti di lavoro fra familiari a volte non hanno trovato riscontro nelle decisioni della giurisprudenza ,soprattutto di legittimità .
Quando il rapporto di lavoro si intreccia con la relazione con il coniuge o con il partner, i dissapori tra le parti possono dar luogo a sorprese,come dimostrano alcune sentenze della Cassazione ed in particolare
quella n. 1833/2009, che accoglie il ricorso della ex partner di un imprenditore, la quale, finito il rapporto personale, aveva rivendicato il trattamento economico di dipendente per il periodo in cui aveva collaborato nell’impresa. .
Quando lei, finito il rapporto, rivendica che l’attività prestata nel corso degli anni in realtà configurava un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, lui si oppone, sostenendo che il lavoro della compagna era stato reso a titolo gratuito, per spirito di solidarietà familiare, come normalmente avviene fra coniugi e coppie che vivono “more uxorio”: la conclusione è che l’uomo non si sente debitore di alcuna somma.
Il caso richiamato, che accade con frequenza, pone all’attenzione il conflitto tra la presunzione di gratuità del lavoro svolto nel contesto familiare e la presunzione di onerosità del lavoro svolto alle dipendenze del datore di lavoro.
Occorre osservare che è vero che la presunzione di gratuità del lavoro coniugale è stato esteso anche alla convivenza “more uxorio”(ad esempio Cassazione 5215/2000), ma in questo secondo caso è richiesto che il datore di lavoro che invoca la gratuità del rapporto dimostri che la suddetta convivenza sia analoga a quella legittima non solo sul piano spirituale della solidarietà personale, ma anche sul versante economico. La gratuità presuppone la convivenza e nella vicenda narrata il giudice di merito ha escluso questa condizione non tanto perché la relazione era stata più volte interrotta, quanto piuttosto «per il difetto di condivisione di un tenore di vita comune in relazione ai redditi dell’attività commerciale, risultando effettuate solo alcune elargizioni (uso gratuito di un appartamento, pagamento di qualche debito)». Ed è stata questa la ragione che ha fatto cadere la presunzione di gratuità del rapporto invocata dal ricorrente.
Si deve inoltre segnalare che la gratuità del lavoro nel contesto familiare si riferisce non soltanto alla prestazione del coniuge – e, per interpretazione estensiva, alla convivenza di fatto – ma si allarga a tutti i parenti e affini conviventi. Per altro verso, l’oggetto del lavoro familiare non è confinato al lavoro domestico ma si estende a qualsiasi attività che faccia capo al coniuge o familiare in favore del quale la prestazione lavorativa viene resa.
Infatti il lavoro prestato in favore del coniuge professionista o imprenditore individuale si presume gratuito, così come il lavoro prestato dal familiare in favore di un socio di una società di persone che abbia il controllo della società (socio di maggioranza o amministratore unico). Tuttavia, se il coniuge che beneficia della prestazione lavorativa è socio di una società di capitali allora cade la presunzione di gratuità della prestazione, in quanto resa a favore di un soggetto – la società – diverso dal coniuge o dal familiare
Per stabilire, nel concreto, se il rapporto tra datore di lavoro e familiare realizzi lo schema legislativo delineato dall’art. 2094 cod. civ., dovrà essere accertata, caso per caso, l’esistenza dei requisiti della subordinazione e della onerosità delle rispettive prestazioni, al fine di superare la presunzione, sia pure relativa, di gratuità delle prestazioni lavorative rese fra persone conviventi legate da vincolo di parentela o affinità.
La prova in parola non potrà essere rappresentata da elementi generici, ma dovrà essere precisa e rigorosa.
Appare utile ricordare che la presunzione di gratuità opera limitatamente all’ipotesi di convivenza tra i soggetti del rapporto di lavoro, in quanto in tal caso effettivamente le relazioni di affetti familiari, di parentela, di interessi, giustificano la presunzione di gratuità; al contrario, nelle ipotesi di soggetti non conviventi sotto lo stesso tetto, ma appartenenti a nuclei distinti ed autonomi, la presunzione di gratuità cede il passo a quella di normale onerosità del rapporto, superabile solo con precise prove in senso contrario.
In merito al vincolo coniugale occorre precisare che, per giurisprudenza consolidata, il legame generato dalla convivenza “more uxorio”, fondato sulla comunanza spirituale ed economica tra i soggetti, è equiparato al legame matrimoniale, così che può aversi lavoro gratuito non solo tra marito e moglie, ma anche tra due partner che di fatto convivono.
La presunzione di gratuità può trovare applicazione per i rapporti instaurati nell’ambito delle imprese individuali, delle società di persone, o qualora si tratti di attività non rientranti nel concetto di impresa (ad es. studi professionali).






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